La storia della radioastronomia sperimentale comincia negli anni trenta
del XX secolo. Agli inizi del secolo scorso le comunicazioni
radiofoniche avevano mosso i primi passi e subito si era capito che esse
avrebbero rivoluzionato il modo di vivere degli uomini. Gli aspetti
commerciali di questa nuova tecnica per comunicare emersero rapidamente
tanto che negli anni trenta esistevano già delle compagnie, ben
strutturate, che si occupavano di radiofonia intercontinentale. Tra
queste vi erano i "Bell Laboratories", che disponevano di laboratori per
la sperimentazione di nuove tecniche ed apparecchiature radio riceventi
ed emittenti.
La componente di ricerca era presente e assai sviluppata,
dato che le comunicazioni radio avevano da poco lasciato il grembo della
scienza pura, la fisica, per essere accudite ed allevate dalla
tecnologia e dall'ingegneria. A quel tempo fra l'altro, si cercava di
comprendere la natura di alcuni tipi di interferenze che disturbavano le
comunicazioni transoceaniche. Presso i "Bell Laboratories", a Holmdel nel
New Jersey, lavorava un giovane ingegnere di nome Karl Jansky che venne
incaricato della costruzione di un rudimentale radiotelescopio,
dotato di un'antenna orientabile, per
ricevere la frequenza di 20,5 MHz con l'obiettivo di individuare la
natura di quelle interferenze.
Operando con questo strumento, Jansky ben presto si accorse che
dall'altoparlante del ricevitore, collegato all'antenna, usciva un
debole segnale, una sorta di fischio. Sul momento, egli lo attribuì ad
interferenze provenienti dal Sole, ma misure più accurate, effettuate in
seguito, mostrarono in modo inequivocabile una periodicità di 23 ore e
56 minuti con un ritardo di 4 minuti rispetto alle canoniche 24 ore
giornaliere e ciò escludeva la natura solare del disturbo.
Dopo diversi mesi, Jansky intuì che la sorgente responsabile del fischio
era al di fuori del Sistema Solare, in direzione della costellazione
del Sagittario, in pratica della regione centrale della nostra Galassia. Tuttavia, questa
scoperta, pur così importante, passò quasi inosservata salvo il fatto che
venne pubblicata sul "New York Times" nel maggio del '33. Jansky avrebbe
voluto investigare più a fondo la Via Lattea, proponendo ai "Bell
Laboratories" la costruzione di un'antenna più efficiente, ma gli
interessi della compagnia erano di tutt'altra natura e così Jansky
venne dirottato verso altri progetti.
In seguito, il nome di Karl Jansky venne associato all'unità di misura
del flusso radio, il jansky (Jy), corrispondente a
10-26 W m-2 Hz-1.
Molti scienziati furono affascinati da questa scoperta, ma le ricerche
in questo settore non avanzarono, sia a causa delle ancora scarse competenze
nelle tecnologie radio, sia a causa della mancanza di
risorse finanziarie dovuta alla grande recessione economica di quel
periodo.
La scoperta di Jansky è un tipico esempio di quello che gli anglosassoni
chiamano
serendipity, ossia di una scoperta avvenuta per caso,
cercando tutt'altra cosa.
Ad ogni modo, il ghiaccio era stato rotto e anche se gli astronomi di professione
cominciarono a dedicarsi allo studio delle radio emissioni celesti soltanto
diversi anni dopo, numerosi furono gli appassionati che iniziarono ad esplorare il cielo
con i nuovi "occhi" dei
radiotelescopi, facendo fare alla nuova scienza,
nella poco appariscente timidezza della loro passione, i primi passi, molto importanti.
Uno di questi uomini fu Grote Reber.
Molto è stato scritto e detto a proposito dei risultati conseguiti da
questo emblematico personaggio. In questa sede, ci piace sottolineare la
caparbietà di quest'uomo che, dopo aver esaminato le scoperte di
Jansky, decise di costruire un radiotelescopio nel giardino di casa.
Ricordiamo che siamo nella prima metà del secolo scorso, quando la
tecnologia radio era solo agli inizi. Ciò nonostante, Reber riuscirà a
costruire una parabola di circa dieci metri di diametro con
ricevitori operanti alle frequenze di 3300 MHz, 900 MHz e 160 MHz, cose ancor
oggi piuttosto difficili da realizzare per un amatore.
Reber sicuramente spese parecchie notti insonni registrando
segnali radio extraterrestri, dato che di giorno lavorava e di notte
riusciva, tra l'altro, a ridurre il rumore sul segnale, dovuto alle
scintille provocate dai motori delle automobili in
circolazione. Si può facilmente immaginare quante prove egli dovette
fare per identificare la natura dei disturbi, quante delusioni a seguito
di esperienze fallite, prima di centrare l'obiettivo. Nessuno, al di fuori di lui,
potrebbe descriverci quei momenti, rivelandoci l'intima
natura di questo straordinario personaggio.
I risultati da lui ottenuti sono noti. Reber è stato il primo uomo a
vedere la Via Lattea alle
lunghezze d'onda radio, ultimando nei primi anni quaranta
del XX secolo la prima mappatura radio della nostra Galassia.
Applicando nel campo radio i principi della fisica ottica, Reber costruì
un'antenna parabolica, al fine di "raccogliere" un ampio intervallo di frequenze radio,
e intuì che la radiazione che egli misurava
con il suo radiotelescopio non poteva avere una
natura esclusivamente termica, come supposto dalle teorie correnti a quel tempo.
In seguito, il fisico russo V.L. Ginzburg, dando ragione all'intuizione di
Reber, dimostrò che l'emissione radio delle sorgenti stellari
era prodotta, in parte, da un processo
non termico, la cosiddetta
"radiazione di sincrotrone".
Reber fu anche il primo radio astrofilo della storia, che aprì le
porte a quella che sarebbe diventata una delle più importanti branche
dell'astrofisica, la "radioastronomia".
Dopo la seconda guerra mondiale le scoperte radioastronomiche sperimentali
furono affiancate da diversi studi teorici sulla natura delle emissioni radio
da parte dei corpi celesti, ma ancora una volta sarebbe stata una scoperta casuale
ad aprire una nuova finestra sulla conoscenza dell'Universo.
Negli anni venti, la scoperta dell'espansione dell'Universo aveva rafforzato
la teoria cosmologica del
Big Bang, secondo la quale doveva esistere una radiazione "fossile", la radiazione cosmica
di fondo a microonde (cosmic microwave background radiation),
residuo dell'esplosione primordiale, che permeava tutto
lo spazio cosmico.
A tale proposito, a distanza di quasi mezzo secolo, uno degli Autori di
questo articolo, ricorda ancora con emozione una calda serata romana,
quando assieme a molte altre persone vide sfrecciare nel cielo un
oggetto luminoso. Correva l'anno 1960 e quell'oggetto era uno dei primi
satelliti artificiali che veniva posto in orbita dalla NASA e dai "Bell Laboratories"
per verificare la possibilità di trasmettere segnali
radio televisivi a grande distanza, utilizzando le microonde. Quel
satellite venne battezzato "ECHO": niente di più di un pallone di 30
metri di diametro circa, rivestito in polyestere alluminato per
riflettere le onde radio.
In quel periodo nessuno avrebbe sospettato che quel, relativamente
semplice, dispositivo, di lì a qualche anno (1964), avrebbe
portato ad una straordinaria scoperta, diventata poi una pietra miliare della
cosmologia moderna, cioè la prova sperimentale dell'esistenza del
"fondo a microonde", teorizzata nel 1946 da George Gamow e Robert Dicke, che
confermava ampiamente la teoria del Big Bang in contrapposizione a quella dello
"stato stazionario", sostenuta da Bondi, Gold ed Hoyle.
Lo strumento che registrò il segnale del "fondo a microonde"
apparteneva, ancora una volta, ai "Bell Laboratories":
si trattava di un'antenna a "corno" costruita per
gli esperimenti abbinati al satellite ECHO e
utilizzata dai due radioastronomi, Robert Wilson e Arno Penzias
che furono, per questa scoperta del tutto casuale, insigniti, nel 1978, del premio Nobel
per la fisica.
Dagli anni sessanta in poi, gli astronomi professionisti guarderanno con sempre
maggior interesse all'utilizzo delle lunghezze d'onda non ottiche per
l'osservazione del cielo. Verranno costruiti radiotelescopi sempre più potenti e
sofisticati e saranno identificate nuove sorgenti radio, sia
galattiche che extra-galattiche.
La scoperta dell'esistenza delle "stelle pulsanti", le cosiddette
pulsar, sarà un altro dei successi della radioastronomia.
Anche questo, un caso di "serendipity".
Agli inizi degli anni '60 Antony Hewish dell'Università di Cambridge (UK),
con l'ausilio di alcuni suoi studenti, costruì un radiotelescopio operante
alla frequenza di 81.5 MHz per studiare la scintillazione dei segnali radio
provenienti da sorgenti lontanissime, che apparivano molto compatte nel cielo,
simili a stelle.
Hewish sperava così di individuare quegli oggetti "quasi stellari",
oggi conosciuti con il nome di "quasar".
Lo strumento diventò operativo nel 1967 e dopo avere completato una prima
ricognizione del cielo, una studentessa, Jocelyn Bell assistente di Hewish,
incaricata di esaminare i dati che venivano registrati tramite un
registratore su carta, vide sul tracciato dei picchi che si ripetevano con
frequenza regolare. L'identificazione non fu
immediata, ma dopo numerose verifiche fu chiaro che i picchi registrati altro
non erano che i "lampi" prodotti da una "stella di neutroni", la prima "pulsar"
osservata, che venne contraddistinta con la sigla CP 1919 (Cambridge
Pulsar). Più precisamente, la radiazione elettromagnetica che mise in
oscillazione l'antenna di Cambridge, proveniva da una "pulsar" che si trova
nella costellazione della Volpetta, oggi contrassegnata con la sigla
CP1919+21 (PulSar a RA=19h 19m e DECL=+21°). Da allora se ne sono
identificate diverse centinaia.
Una curiosità: nel 1964 a Medicina (BO) venne inaugurato il
radiotelescopio "Croce del Nord", un grandioso strumento di
transito, molto più sensibile ed efficiente di quello costruito a Cambridge,
e fu per un puro caso che non ebbe l'onore della scoperta della prima "pulsar".
La causa della mancata scoperta fu da attribuirsi ad un componente elettronico
(un semplice condensatore) rivelatosi troppo "ingombrante". La "Croce del Nord", in
ogni caso, era e rimane uno fra i telescopi più adatti per
l'osservazione di oggetti come le "pulsar", tanto da annoverarne, fra le sue
scoperte, qualche centinaio.
Le "pulsar" erano state previste dagli astrofisici teorici come risultato
finale dell'evoluzione di alcuni tipi di stelle, dotate di opportuna
massa, ma mancava una conferma osservativa di questi oggetti:
Antony Hewish e Jocelyn Bell la produssero.
La storia più recente della radioastronomia è quella di una scienza ormai
matura, la cui tecnologia e tecniche osservative hanno portato a scoperte
molto importanti, che hanno aiutato a migliorare la comprensione dell'Universo.
Dopo gli anni '60, le scoperte si sono susseguite a ritmi sempre più
incalzanti. Si possono annoverare negli anni '70 l'osservazione dei
"quasar" radio attivi, negli anni '80 gli effetti dovuti alle "lenti gravitazionali",
le prime misure dirette dell'espansione di una supernova (SN1993J) e ... la lista non
finisce qui.
Il potere risolutivo
dei radiotelescopi è rapidamente aumentato nel corso degli ultimi decenni,
tanto da superare quello dei telescopi ottici più potenti.
Ciò grazie all'impiego dell'interferometria, cioè
di quella tecnica osservativa che combina le osservazioni provenienti da più
radiotelescopi per produrre un'unica immagine finale.
Le tecniche interferometriche applicate alle
osservazioni radio del cosmo hanno portato alla costruzione di grandi e
prestigiosi osservatori, come il "Very Large Array" (VLA), nel Nuovo
Messico.
In più, la possibilità tecnica di combinare le osservazioni radio in
differita, cioè non al momento stesso dell'acquisizione, ma in tempi
successivi, permette oggigiorno di scandagliare il cielo con
interferometri che si sviluppano su scala planetaria, come il "Very Long
Baseline Interferometry" (VLBI), quindi con potere risolutivo
mai raggiunto in precedenza da nessun altro strumento astronomico. Sono
anche in corso prove di interferometria a lunghissima
base, per mezzo di un radiotelescopio in orbita e di una
serie di strumenti a Terra.
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